Nel 2019 scrissi un articolo sul “signoraggio” sulla mia pagina Facebook. Il motivo fu un video fortemente superficiale ed ideologizzato trasmesso da una trasmissione Rai. Ieri l’autore di quel video è diventato il nuovo Ministro della Cultura. Colgo pertanto l’occasione per riproporre quell’articolo ed evidenziare chi nominiamo nei ruoli apicali della nostra Repubblica.
Un servizio mandato in onda da una trasmissione di Rai 2 (“Povera Patria”) ha scatenato molte polemiche in rete, a causa della superficialità con cui è stato trattato il tema del “signoraggio”. In particolar modo hanno suscitato scalpore la totale mancanza di cenni alle problematiche causate da un eccesso di signoraggio ed il fatto che, nemmeno troppo velatamente, il servizio lasciasse intendere che al di fuori dell’Euro e del controllo della BCE potremmo risolvere alcuni dei grossi problemi che affliggono il paese.
Ma che cos’è il signoraggio?
Di fatto si tratta di una tassa, che lo stato impone ai privati, in virtù del proprio diritto esclusivo di poter stampare moneta.
Nel corso del tempo le modalità con cui questa tassa è stata riscossa è cambiato ma non è cambiato il risultato finale. Nell’antichità, quando le monete venivano coniate con metalli preziosi (es. argento o oro), il “signore” ne tratteneva una parte per sé, non coniandola oppure riducendo la quantità di metallo pregiato nella monta: in questo caso il valore nominale della moneta coniata era superiore al valore intrinseco (ovvero al valore della effettiva quantità di metallo contenuta nella moneta stessa) e la differenza tra valore nominale e valore intrinseco corrispondeva al guadagno del “signore”, ovvero al signoraggio.
In tempi più recenti, il passaggio ad un sistema di monete di metalli comuni ed a banconote di carta ha modificato la natura del signoraggio: mentre per le monete la rendita deriva dalla differenza tra il valore nominale della moneta e l’effettivo costo sostenuto per produrla, per quanto riguarda le banconote viene normalmente effettuata una procedura un po’ più complicata, tramite operazioni sul “mercato aperto”. In pratica a fronte della creazione di nuova moneta (banconote), la Banca Centrale (BC) acquista un ammontare di titoli di stato pari all’importo delle banconote stampate; questi titoli di stato garantiscono un interesse che viene incassato dalla BC e rigirato allo stato (al netto dei costi sostenuti dalla BC per produrre la nuova “base monetaria”): questa cifra corrisponde al signoraggio spettante allo stato.
Tutto questo accade ancora oggi, con la BCE al posto delle singole Banche Centrali. La BCE ad esempio tramite il Quantitative Easing (QE) immette nuova moneta nel sistema economico a fronte dell’acquisto di un corrispettivo di titoli di stato dei diversi paesi dell’Eurozona (nonostante il QE non sia né nelle modalità né negli obiettivi considerato come un’operazione di “monetizzazione del debito”). La BCE quindi guadagna interessi dai titoli di stato (e da altre operazioni di mercato) e redistribuisce i proventi alle diverse BC locali, le quali a loro volta trattengono le eventuali spese e redistribuiscono i proventi al Tesoro del rispettivo Stato di appartenenza.
Importante però citare che queste entrate, pur contribuendo positivamente ai conti di uno stato, rappresentano in generale una percentuale molto piccola del bilancio pubblico di praticamente tutte le economie sviluppate: nel caso dell’Italia i circa 300 milioni di € ricevuti dalla Banca d’Italia nel 2015 rappresentano appena lo 0,02% del PIL.
Perché accade questo? Se per gli stati è così facile autofinanziarsi, semplicemente stampando nuova moneta, perché non estendere sempre di più questa pratica?
Per un motivo molto semplice: l’aumento di denaro in circolazione senza un corrispettivo aumento del valore dei beni causa l’incremento dei prezzi, ovvero INFLAZIONE. Sostanzialmente, in tutti i paesi in cui lo stato ha potuto “costringere” la BC a stampare ingenti quantità di nuova moneta per coprire i propri fabbisogni si è assistito ad un significativo aumento dell’inflazione: dalla Turchia o l’Argentina degli ultimi decenni, passando per l’Italia degli anni ‘70-’80 fino ad arrivare a casi limite come la Repubblica di Weimar del primo dopoguerra o il Venezuela dei giorni nostri (> 1.000.000% nel 2018).
Una inflazione molto elevata “erode” i salari reali (con 100€ l’anno prossimo potrò comprare meno pane o latte di quanto sono in grado di comprarne oggi) ed inoltre “svaluta” l’investimento fatto da chi ha “prestato” soldi allo stato comprando buoni del tesoro (i 100€ che ho prestato oggi allo stato varranno molto meno quando lo stato me li dovrà restituire, ad esempio tra 5 anni), il che a sua volta riduce il numero di persone disposte a prestare soldi ed aumenta i rendimenti che dovranno essere garantiti a quei pochi disposti ad investire.
L’inflazione è una tassa. Una tassa occulta, nascosta ma pur sempre una tassa. E forse anche una delle tasse più subdole perché colpisce tutti ma soprattutto le fasce più deboli che spesso non hanno né le risorse né le competenze per poter investire i propri risparmi in qualcosa che renda più del (o almeno quanto il) tasso d’inflazione. Si tratta infatti per lo più di persone con bassi livelli di risparmio ed alti livelli di consumo e che quindi sono “costrette” a spendere cifre sempre più alte per acquistare beni necessari alla sopravvivenza.
Queste sono le ragioni per cui in moltissimi paesi, tra cui l’Italia nel 1981, si è provveduto a rendere autonoma la Banca Centrale dal governo e per cui le BC spesso hanno tra gli obiettivi statutari quello di tenere sotto controllo l’inflazione (come ad esempio accade per la BCE). I risultati derivanti da questa scelta, così come dalla successiva adesione alla moneta unica europea, non si sono fatti attendere e l’inflazione dal 21% del 1980 (in virtù anche del c.d. “shock petrolifero” è velocemente scesa al 4,7% nel 1987 ed all’1,7% nel 1999.
Chi racconta che stampare nuova moneta possa magicamente risolvere i problemi e non racconta quali sono i nuovi problemi che questo causa, sta semplicemente raccontando una bugia.
Fonti ed approfondimenti:
– Banca d’Italia (LINK)
– Osservatorio CPI (LINK)
– Video Prof. Michele Boldrin (LINK)
– Wikipedia (LINK)
– Il Post (LINK)
– La Repubblica (LINK)
– Il Foglio (LINK)